Psicoterapia e cambiamenti nel cervello: studi condotti sui disturbi di ansia

Psicoterapia e cambiamenti nel cervello: studi condotti sui disturbi di ansia

I recenti progressi di neuroimaging hanno consentito di conoscere meglio i correlati neuronali dei disturbi mentali.
Allo stesso tempo tali tecniche diagnostiche hanno reso possibile l’analisi delle conseguenze neurobiologiche dei trattamenti psicoterapeutici che, tutt’ora, rimangono poco conosciute. Queste indagini sono particolarmente importanti per la comprensione dei meccanismi cerebrali coinvolti in un percorso terapeutico ed anche per accrescere la nostra conoscenza sulla formazione ed il mantenimento dei sintomi.

In questo articolo verranno prese in considerazione ricerche riguardanti gli effetti della psicoterapia cognitivo comportamentale (TCC) sul funzionamento neurobiologico nell’ambito di diversi disturbi psicologici, al fine di evidenziare quanto un trattamento di psicoterapia TCC comporti vere e proprie modificazioni cerebrali, anche similmente agli effetti di una terapia farmacologica.

Nello specifico verranno illustrati studi sull’aracnofobia, sulla fobia sociale, sul disturbo post-traumatico da stress, sul disturbo ossessivo-compulsivo e sul disturbo da attacchi di panico.

Aracnofobia

aracnofobia e psicoterapia

1) Studio condotto da Paquette et al (2003): 12 donne affette da aracnofobia, sottoposte ad un trattamento di TCC, sono state confrontate con 13 donne sane che non presentavano disturbi neurologici o psichiatrici. Sia il gruppo sperimentale (con fobia) che il gruppo di controllo (sani) hanno eseguito una risonanza magnetica funzionale (fMRI) prima e dopo il trattamento. Il trattamento consisteva in un programma di esposizione ai ragni e di ristrutturazione cognitiva. Tutti i soggetti hanno risposto bene al trattamento.

I dati di neuroimaging hanno dimostrato che, prima del trattamento, i pazienti fobici presentavano una significativa attivazione della corteccia prefontale dorsolaterale e del giro paraippocampale, mentre dopo il trattamento TCC, l’fMRI non evidenziava importanti attivazioni a carico delle stesse aree cerebrali.
Secondo gli autori, il trattamento TCC aveva ridotto l’evitamento fobico attraverso l’estinzione della paura appresa nella regione paraippocampale (non si attivavano più le memorie traumatiche immagazzinate in tale area) e mediante la riduzione dei pensieri catastrofici mediati dalla corteccia prefrontale (si riscontrava una maggiore inibizione delle regioni cerebrali associate precedentemente alle reazioni fobiche).

2) Studio condotto da Straube et al. (2006): 28 donne con aracnofobia sotto trattamento TCC sono state confrontate con 14 donne sane inserite in lista di attesa. Il trattamento TCC consisteva in un programma di esposizione e di ristrutturazione cognitiva. Tutti i soggetti hanno risposto con successo all’intervento. Un’fMRI è stata eseguita prima e dopo il trattamento.

I dati di neuroimaging hanno evidenziato che prima del trattamento nei soggetti fobici vi era un’attivazione significativa dell’insula e della corteccia cingolata anteriore, mentre nei soggetti sani risultava attivata principalmente l’amigdala. Dopo il trattamento, quando venivano somministrati nuovamente gli stimoli fobigeni, nei soggetti fobici non si verificava più una significativa attivazione della corteccia cingolata anteriore ma una ridotta attivazione dell’insula, mentre nel gruppo di soggetti sani le suddette aree risultavano questa volta più attivate rispetto ai fobici stessi.
Dai risultati gli autori hanno concluso che, nei soggetti fobici, la fobia era associata ad un aumento dell’attivazione dell’insula e della corteccia cingolata anteriore e che il trattamento TCC aveva ridotto l’iperattività in queste regioni rispetto ai soggetti sani.

Fobia sociale

curare la fobia sociale con la psicoterapiaStudio condotto da Furmark et al. (2002): 18 soggetti con fobia sociale sono stati assegnati in modo random ad un trattamento con citalopram, TCC e lista di attesa, costituendo tre gruppi composti da 6 soggetti. Il trattamento TCC consisteva in tecniche di esposizione, ristrutturazione cognitiva e homework.
Tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad una Tomografia a emissione di positroni (PET) prima e dopo il trattamento. Dopo 9 settimane, sia i soggetti trattati con citalopram che con TCC mostravano una significativa riduzione sintomatologica a differenza del gruppo in lista di attesa per il quale non si è riscontrato alcun miglioramento.

Nei soggetti che avevano seguito il trattamento farmacologico e psicoterapeutico, durante un compito di esposizione in pubblico, si è riscontrata una significativa riduzione della risposta di irrorazione sanguigna a carico dell’amigdala, dell’ippocampo e della corteccia temporale anteriore e mediana.
Tale modificazione era inesistente nei soggetti assegnati alla lista di attesa. Questi risultati, inoltre, permanevano anche a un anno di distanza dal trattamento, evidenziando un’attenuazione della risposta di irrorazione sanguigna subcorticale in situazioni di esposizione pubblica.
Gli autori hanno concluso che, essendo l’amigdala e la regione limbica (in particolare l’ippocampo) le regioni cerebrali coinvolte nel sistema di allarme attivato da stimoli minacciosi, esse rappresentavano probabilmente il comune circuito coinvolto in un trattamento efficace dell’ansia, sia farmacologico che psicoterapeutico, e che tali cambiamenti cerebrali erano associati ad effetti ansiolitici a lungo termine.

Disturbo post-traumatico da stress

curare il disturbo post traumatico da stress con la psicoterapia

 

Studio condotto da Farrow et al. (2005): 13 soggetti soddisfavano i criteri psichiatrici per il disturbo post traumatico da stress (DPTS). Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad una fMRI prima e dopo un trattamento TCC focalizzato su specifici processi di elaborazione cognitiva e sociale coinvolti nel DPTS, in particolare sull’abilità di empatizzare e di perdonare.
Dopo il trattamento tutti i partecipanti hanno mostrato un miglioramento sintomatologico.

Dalle analisi di neuroimaging emergeva un incremento dell’attivazione del giro temporale mediale sinistro per quanto riguardava l’abilità di empatizzare e del giro cingolato posteriore relativamente all’abilità di perdonare. I risultati hanno condotto gli autori a sostenere che la TCC era in grado di favorire, dunque, cambiamenti cerebrali.

Disturbo ossessivo-complulsivo

curare il disturbo ossessivo compulsivo con la psicoterapia

1) Studio condotto da Baxter et al. (1992): 18 soggetti con disturbo ossessivo- compulsivo (DOC), di cui nove sotto trattamento TCC e nove sotto trattamento con fluoxetina, sono stati confrontati con un gruppo di controllo composto da 4 soggetti sani. Per tutti i partecipanti è stata eseguita una PET prima e dopo il trattamento. L’intervento di TCC ha previsto tecniche di esposizione con prevenzione della risposta e ristrutturazione cognitiva. A fine trattamento tutti i partecipanti, sia del gruppo terapeutico che farmacologico, mostravano un miglioramento sintomatologico.

I dati di neuroimaging hanno evidenziato in entrambi i gruppi una riduzione della risposta di irrorazione a carico della porzione destra del nucleo caudato; inoltre, a fine trattamento la correlazione prima esistente tra attività della corteccia orbitale con nucleo caudato e talamo è risultata non più significativa. Gli autori hanno potuto concludere che i trattamenti (in questo caso psicoterapeutici e farmacologici) erano in grado di ristabilire un corretto funzionamento del nucleo caudato in presenza di stimoli che attivavano il circuito psicopatologico.

2) Studio condotto da Nakao et al. (2005): 10 soggetti con DOC e senza alcuna comorbilità sono stati assegnati in modo random ad un trattamento con fluvoxamina (4 soggetti) e a TCC (6 soggetti). E’ stata condotta una fMRI prima e dopo il trattamento. Tutti i soggetti hanno mostrato un riduzione della sintomatologia, ad eccezione di due partecipanti del gruppo farmacologico per i quali non è stato riscontrato un miglioramento.

Relativamente agli esami di neuroimaging, i pazienti presentavano una significativa attivazione della corteccia orbito-frontale sinistra, della corteccia temporale e della corteccia parietale durante compiti di elicitazione del sintomo. A fine intervento l’attivazione della corteccia orbito-frontale risultava ridotta.
Dai risultati si poteva concludere che l’iperattivazione della corteccia orbito-frontale, coinvolta nell’espressione sintomatica del DOC, poteva ridursi in concomitanza ad un miglioramento dei sintomi. Gli autori, tuttavia, hanno sottolineato i limiti del loro studio, concernenti l’incapacità di analizzare le differenze di attivazione dei pattern cerebrali tra intervento psicoterapeutico e farmacologico a causa di un campione di ricerca troppo esiguo.

Disturbo da attacchi di panico

curare gli attacchi di panico con la psicoterapia

1) Studio condotto da Prasko et al. (2004): 12 soggetti soddisfavano i criteri psichiatrici per il disturbo d’attacchi di panico (DAP), di cui 10 con agorafobia. Nessuna comorbilità è stata diagnosticata. I soggetti sono stati assegnati in modo random al trattamento TCC (6 pazienti) e ad una farmacoterapia (6 pazienti) e sono stati sottoposti alla PET prima e dopo i trattamenti.
Il trattamento TCC consisteva in psicoeducazione, ristrutturazione cognitiva, tecniche di respirazione diaframmatica, esposizione in vivo ed esposizione enterocettiva; il trattamento farmacologico comprendeva 3 mesi di assunzione di antidepressivi. Tutti i soggetti hanno mostrato a fine intervento una riduzione significativa della sintomatologia.

I cambiamenti neurobiologici apportati dai due trattamenti coinvolgevano le stesse regioni cerebrali: incremento del metabolismo cerebrale a carico dell’emisfero sinistro per le aree prefrontale, temporo-parietale, occipitale e del giro cingolato posteriore; riduzione del metabolismo cerebrale a carico dell’emisfero destro per le aree frontale, temporale e parietale. Nessuna modificazione era emersa in sede sottocorticale.

2) Studio condotto da Sakai et al. (2006): 12 soggetti presentavano una diagnosi di DAP, alcuni con agorafobia, secondo i criteri del DSM-IV. Non vi era comorbilità con altri disturbi. E’ stata eseguita una PET prima e dopo un trattamento con TCC che consisteva in psicoeducazione, training di rilassamento, controllo respiratorio, esposizione in vivo, tecniche di controllo attentivo, stop del pensiero, autorinforzo, ristrutturazione cognitiva.
11 soggetti su 12 hanno risposto con successo all’intervento terapeutico, mentre il dodicesimo, che continuava a presentare DAP, è stato escluso dalla seconda valutazione PET.

I risultati di neuroimaging hanno evidenziato una riduzione del metabolismo cerebrale a carico dell’area destra dell’ippocampo, sinistra del cerebellum e del ponte. Viceversa, è emerso un aumento del metabolismo nella regione prefrontale mediale, bilateralmente. Questi risultati hanno permesso agli autori di sostenere l’ipotesi secondo la quale le aree sovrastanti l’amigdala (ippocampo, corteccia prefrontale mediale e giro cingolato sinistro) potevano essere modulate con una TCC, riducendo i sintomi del disturbo.

Conclusioni

Dagli studi sopra riportati, la TCC si mostra capace di modificare l’attività neuronale disfunzionale associata ai disturbi ansiosi nei soggetti che ben rispondono al trattamento. Un aspetto interessante, inoltre, riguarda la similarità dei cambiamenti neurobiologici evidenziati dalle analisi di neuroimaging provocati sia dal trattamento psicoterapeutico che da quello farmacologico, suggerendo un comune pattern di modificazione cerebrale.

Non possiamo, tuttavia, prescindere da alcuni limiti metodologici che riducono le generalizzabilità dei risultati. Le ricerche, infatti, sono piuttosto eterogenee in quanto diverse sono le tecniche di TCC utilizzate tra i singoli studi, così come il numero di sessioni. Allo stesso tempo, in alcuni di essi sono stati utilizzati gruppi di controllo che invece mancano in altri studi. Non meno trascurabile è il numero di pazienti reclutati, che risulta piuttosto esiguo.

Nonostante questi limiti, è possibile concludere che la TCC promuove cambiamenti neurobiologici, in particolare a carico di quei circuiti neuronali coinvolti nella regolazione delle emozioni negative e nell’estinzione della paura, mediante la ristrutturazione dei pensieri, le modificazioni emotive/comportamentali e i nuovi apprendimenti.
Le ricerche neuroscientifiche con uso di tecniche di neuroimaging rappresentano senza dubbio una strada potenzialmente valida per accrescere la conoscenza dei fondamenti neurobiologici delle psicoterapie e per migliorare gli interventi al fine di aumentare l’efficacia terapeutica.

Dott. Spinelli

Riferimenti:

– Nataša Jokić-Begić N. (2010). Cognitive-Behavioral Therapy and Neuroscience: Towards Closer Integration. Psychological Topics, 2, 235-254

 – Porto PR., Oliveira L, Mari J., Volchan E., Figueira I., Ventura P. (2009). Does cognitive behavioral therapy change the brain? A systematic review of neuroimaging in anxiety disorders. The journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences, 21, 114-25.

– Roffman JL., Marci CD., Glick DM, Dougherty DD., Rauch SL. (2005). Neuroimaging and the functional neuroanatomy of psychotherapy. Psychological Medicine, 35, 1385-98.

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