Rifiuto o accettazione: come superare la sofferenza emotiva?

Rifiuto o accettazione: come superare la sofferenza emotiva?

Provare delle emozioni dolorose è senza dubbio un’esperienza spiacevole. Non è un caso che le persone cerchino di ignorarle e di respingerle in tanti modi. Si fa appello all’alcool, a sostanze stupefacenti, a condotte di autolesionismo o, anche semplicemente, a comportamenti di evitamento e di distrazione di vario genere.

Praticamente ci si rivolge a tutto ciò che possa aiutare a liberarsi delle emozioni e dei sentimenti spiacevoli con lo scopo, comprensibile ma illusorio, di allontanare la sofferenza emotiva ed il disagio fisico.
Questo tentativi, tuttavia, rendono difficile l’accettazione stessa delle emozioni etichettate come “negative” e spinge sempre più a cercare modalità per combatterle con l’esito paradossale di amplificare la sofferenza.

Ad esempio, una condotta autolesionistica può risultare calmante nel breve termine, ma nel lungo periodo promuove ulteriore stress: la persona può sentirsi in colpa, provare vergogna, aver bisogno anche di cure mediche.
Un altro esempio è quello di cercare di contrastare uno stato di ansia evitando le situazioni in cui generalmente viene sperimentato.

Se, nell’immediato, l’evitamento riduce i livelli di attivazione, a lungo termine, un tale comportamento può favorire isolamento, rottura delle relazioni o interruzione di hobby personali. Possono emergere allora vissuti di solitudine, sfiducia nelle proprie capacità di far fronte alle situazioni problematiche, con ulteriore mantenimento dello stato di ansia, arrivando alla percezione di cadere ancor di più in uno stato di sofferenza da cui non si sa come uscirne.

Se non si oppone resistenza, invece, si promuove accettazione.

Diversamente dal contrasto e dalla lotta alla sofferenza, accettare le proprie emozioni significa dar loro il permesso di entrare e di viverle per quello che sono, ovvero esperienze interne che, anche se spiacevoli, sono esperienze umane, dall’intensità variabile e transitoria. Con l’accettazione si resiste, pertanto, all’impulso di sbarazzarsi delle emozioni dolorose, si sospende il giudizio su di esse e la realtà viene vissuta semplicemente per quello che è.

Facciamo un semplice esempio:

dobbiamo andare ad una festa di un nostro caro amico. Siamo contenti di passare una bella serata all’insegna del divertimento. Ma alcuni giorni prima accade un evento molto spiacevole: finisce la nostra relazione sentimentale. Ci sentiamo molto tristi ed atterriti. Pensiamo di non andare più alla festa perché tanto non ci potremo divertire, non ci “staremmo con la testa”, ma saremo dominati dal nostro dolore. Pensiamo che il vedere gli altri che si divertono, il vedere altre coppie aumenterà la nostra tristezza, proprio quell’emozione che adesso già non vorremmo provare. Pensiamo che non vorremmo vedere nessuno, che non siamo in grado di stare con gli altri e di relazionarci, che è meglio stare soli, anche se questo senso di abbandono già non ci è gradito. Ma queste idee, la decisione di evitare la festa e il rimanere a casa con lo scopo di non voler soffrire di più, in realtà aumentano la frustrazione, il senso di solitudine e concedono spazio ad altri pensieri negativi, intensificando la sofferenza stessa.

Ma come è possibile accettare emozioni così disturbanti e non ingigantirle?

Le indicazioni che seguono non vogliono essere una soluzione assoluta e generalizzabile. Non si intende, inoltre, sostituirle ad un percorso terapeutico ben strutturato che rimane importante per conoscere la storia, le rappresentazioni, i vissuti interni o in una parola sola, il funzionamento della persona, elementi fondamentali per approntare interventi idonei e cuciti sulla sue specificità.

Vogliono, tuttavia, essere uno spunto di riflessione su come le reazioni alla sofferenza possano avere un impatto ben diverso nel momento in cui l’atteggiamento di lotta e di contrasto ad essa viene sostituito da uno più compassionevole ed accettante.

1) Osserva le tue emozioni

emozioni

Siediti con le proprie emozioni ed osserva quello che stai vivendo senza giudicarle e senza giudicare te stesso mentre le sperimenti. Riprendendo l’esempio sopra riportato, questo primo passo può tradursi in tal modo: “sto male per il fatto che sia stato lasciato dalla mia ragazza. Sto iniziando a preoccuparmi che forse non troverò un’altra come lei, che rimarrò solo ed infelice. Sento di voler piangere. Ora, sto notando che mi stanno passando tutti questi pensieri e noto anche che sto provando tristezza. Certo, questo non è piacevole, ma si tratta di pensieri e di emozioni ed io sono a posto, posso tollerarlo.”

2) Valida le tue emozioni

Riconoscere validare accettare emozioniimage credit: Matthew Johnstone for World Health Organization

Validare un’emozione significa riconoscere un’esperienza emotiva e darle la legittimazione ad esistere, sospendendo il giudizio su di essa e non valutarla come esagerata, sbagliata, terribile o insopportabile.

Un simile etichettamento, infatti, accresce la sofferenza emotiva. Continuando l’esempio, validare le emozioni potrebbe significare dirsi: “mi rendo conto di essere triste, ma è normale perché io amavo la mia ragazza e adesso è andata via. Non c’è nulla di sbagliato in me e in quello che sto provando.”

Questo passaggio, che può sembrar banale, è in realtà molto importante per permettere di far entrare l’emozione, consentirle di esprimersi e di normalizzarla. E’ un atteggiamento in netto contrasto con i tentativi, spesso poco consapevoli, di fuggire alle esperienze dolorose. Si tratta di una fase essenziale nel processo di accettazione. Non si può, infatti, accettare la sofferenza se prima essa non è stata riconosciuta e legittimata.

3) Focalizzati sul momento presente

Vivere il momento presente

Quando viviamo un’esperienza emotiva spiacevole, essa può intrappolarci e condizionare il nostro umore e comportamento. In questi casi, si può dire che siamo completamente fusi con l’esperienza, vissuta come una verità obiettiva, assoluta e permanente, da non riuscire a pensare ad altro e fare altro. Quando siamo fusi con l’esperienza ci focalizziamo sui dettagli, ruminiamo incessantemente su quello che è accaduto e ci distacchiamo dal presente, non vivendolo ed allontanandoci da tutte le altre esperienze arricchenti.

Sempre riagganciandoci all’esempio, la fusione può essere così rappresentata: “non ci credo che sia finita! E’ terribile! Adesso mi ritrovo scaricato e solo; non potrò rivivere quei bei momenti passati con lei, come farò adesso? La odio, mi ha rovinato l’esistenza. Non sopporto nemmeno di sentirmi in questo modo. Vorrei mandare tutto a quel paese. Non ho voglia di fare più niente!”

Focalizzarsi sul presente, invece, comporta il riuscire a spostare l’attenzione in modo flessibile ed intenzionale su un’azione del qui ed ora, lasciando scorrere i pensieri negativi e le emozioni spiacevoli quando si presentano.

Ad esempio, se mentre stiamo andando alla festa, riaffiorano i vissuti negativi connessi alla fine della storia, invece che fondersi e farsi dominare da essi (che porterebbe con molta probabilità ad abbandonare la festa), si potrebbe reagire in questo modo: “ecco che si riaffacciano i brutti pensieri su quello che è accaduto. Ed ecco che torna anche la tristezza e questo senso di costrizione allo stomaco. Ok, ben tornati! Per quanto sgraditi, non cercherò di mandarvi via; quello che è successo però non posso cambiarlo e adesso sto andando ad una festa, per cui fatemi anche compagnia ogni tanto, ma mi concentrerò su questo momento presente.”

Accettare le esperienze emotive dolorose non è un processo semplice ed immediato. Spesso è graduale e richiede un costante esercizio. Si tratta pur sempre di una abilità che possiamo imparare e mettere in pratica.

Diamole, dunque, spazio per provarci!

Dott. Spinelli

Riferimenti:

– Hayes S.C., Luoma J., Bond F.W., Masuda A., Lillis J. (2006). Acceptance and Commitment Therapy: Model, processes and outcomes. Behaviour Research and Therapy, 44, 1-25.

– Harris R. (2006). Embracing Your Demons: an Overview of Acceptance and Commitment Therapy Psychoterapy in Australia, vol. 12, n° 4

 

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