Fermare pensieri disturbanti e ricorrenti? La soppressione non funziona! Ecco alcune valide alternative
27 Ottobre 2018
Benché la mente dell’essere umano abbia numerose potenzialità rispetto a quella di un animale, presenta un serio inconveniente, quello di poter essere affollata da pensieri indesiderati. Può trattarsi di preoccupazioni, di vere e proprie paure, di previsioni, di ricordi drammatici, resta il fatto che risulta molto frustrante sapere che non possiamo spegnerli con troppa facilità a nostro piacimento.
Daniel Wegner, psicologo e ricercatore all’università di Harvard, ha dedicato la sua vita a studiare la “soppressione del pensiero” ed ha più volte dimostrato sperimentalmente come i tentativi di non pensare a qualcosa creano l’effetto paradossale di intensificare i pensieri stessi che si cerca di dissipare.
Celebre è la sua ricerca, pubblicata sul Journal of Personality and Social Psychology, in cui viene studiato “l’effetto orso bianco”.
In questo studio, Wegner ha chiesto ai partecipanti di monitorare e verbalizzare il flusso dei loro pensieri, cercando di non pensare ad un orso bianco. Nonostante tale istruzione, alla fine dell’esperimento risultava che i partecipanti pensavano all’orso bianco più di una volta al minuto. La soppressione del pensiero non funzionava, anzi si verificava un effetto rimbalzo tale da incrementare la presenza del pensiero stesso. Secondo l’autore, quando cerchiamo di inibire un pensiero disturbante o di non pensarci, una parte della nostra mente effettua dei controlli per verificare che il pensiero non sia presente ma, così facendo, lo richiama.
Attualmente la dimostrazione di questo processo di controllo illusorio proviene da numerosi studi in cui sono state raccolte prove sperimentali non solo da questionari auto-somministrabili, ma anche da misure ottenute con i potenziali cerebrali evento-correlato (ERP) e risonanza magnetica funzionale.
La difficoltà, se non proprio l’impossibilità, di sopprimere i pensieri sgradevoli, che spesso riguardano eventi traumatici e previsioni catastrofiche (quindi non innocue come l’immagine di un orso bianco), ha sollevato un notevole interesse scientifico su strategie alternative di gestione più efficaci rispetto alla soppressione. Gli studi clinici e sperimentali condotti negli ultimi vent’anni hanno messo in evidenza alcune valide alternative alla soppressione del pensiero.
Distrazione focalizzata
Le persone generalmente cercano di smettere di pensare ad un pensiero disturbante pensando a qualcos’altro. Questa strategia può funzionare, tuttavia secondo alcune ricerche risulta efficace quando l’attenzione viene focalizzata su uno specifico distrattore e non quando, invece, si lascia la mente libera di vagare.
In una serie di studi, infatti, Wegner e collaboratori hanno osservato che la distrazione non focalizzata è problematica in quanto lascerebbe che l’attività mentale si sposti su altri pensieri od emozioni spiacevoli, favorendo pertanto l’acutizzazione di quei pensieri e stati d’animo che si cerca di mitigare. Questa modalità di distrazione è correlata con livelli significativi di distress psicologico. Diversamente, la distrazione focalizzata, ovvero centrata su uno specifico oggetto, immagine o anche sulla pianificazione di un impegno nel corso della giornata, risulta una strategia valida per contrastare il vagabondaggio mentale e l’intrusività di un pensiero sgradevole.
Attenzione però! Distrarsi in modo focalizzato non va confuso con il sovraccaricarsi di lavoro. Questo conduce al secondo punto.
Evitare di sottoporsi a condizioni di stress
Una delle tendenze che le persone hanno per soppiantare i pensieri o le emozioni indesiderate è quella di impegnarsi eccessivamente in una attività o in un lavoro in modo tale bloccare il flusso di propri pensieri.
Nei suoi studi Wegner ha potuto constatare che questa modalità di soppressione promuove i processi automatici di monitoraggio implicati durante il controllo mentale, ovvero: quando ci si impegna intensamente in un compito con l’obiettivo esplicito di arrestare pensieri sgraditi, si attiva automaticamente un monitoraggio mentale finalizzato a controllare che tali pensieri non siano più presenti. Questo stesso processo di controllo, però, aumenta l’accessibilità e l’intensità dei pensieri spiacevoli che si tenta di scacciare. L’uso costante di questa strategia di soppressione è risultata essere associata a livelli più alti di ansia e depressione. Per tale motivo l’autore consiglia di evitare di stressarsi gettandosi a capo fitto su di una attività; se può mostrarsi utile all’inizio, fallisce nel lungo termine peggiorando l’umore.
Posticipazione del pensiero
Gli studi effettuati su soggetti affetti da ansia e ruminazione hanno dimostrato che una tecnica efficace di gestione delle preoccupazioni consiste nel posticipare il momento dedicato ad esse, fissando un preciso momento della giornata di durata definita (ad esempio 30 minuti), durante il quale ci si può soffermare sui pensieri sgradevoli. Il successo di questa strategia consisterebbe nel fatto che le persone sanno di avere un periodo destinato alle loro preoccupazioni per le quali, dunque, verrà dato spazio nell’arco della giornata senza dover soffermarsi su di esse nel momento presente.
Terapia paradossale ed esposizione
Per quanto sia difficile immaginare che una persona decida di pensare intenzionalmente al pensiero indesiderato che cerca di bloccare, le ricerche sperimentali hanno dimostrato che l’esposizione al pensiero spiacevole è in grado di ridurre sensibilmente la sua presenza. Detto banalmente si chiede alla persona di pensare al pensiero che lo tormenta e di cui vuole liberarsi. Questa tecnica risulta particolarmente efficace per chi soffre di disturbo ossessivo-compulsivo e disturbo post-traumatico da stress. Tuttavia richiede una minuziosa pianificazione delle modalità e dei tempi di esposizione, una definizione attenta dello stimolo e della sua carica emotigena, operazioni che vanno effettuate insieme al terapeuta esperto per evitare che si produca l’effetto opposto di intensificazione della sofferenza.
Accettazione
Piuttosto che sopprimere il pensiero, come se si volesse spegnerlo, un atteggiamento mentale utile ed efficace, stando a ricerche cliniche e sperimentali, è l’accettazione intenzionale del pensiero stesso, ovvero il permettere ad esso di essere presente nella mente. Questa pratica è al centro dell’Acceptance and Committment Therapy, un orientamento terapeutico cognitivo-comportamentale che promuove l’accettazione di pensieri ed emozioni indesiderate rispetto al lottare contro di essi.
Un esempio di istruzione utilizzata per avviare e sperimentare il processo di accettazione è quella usata da Marcks & Woods in un loro studio: “Lottare contro il pensiero angosciante è come lottare nelle sabbie mobili. Voglio che guardiate i vostri pensieri. Immaginate che vengano fuori delle vostre orecchie con la forma di piccoli soldati in marcia. Voglio che permettiate ai soldati di marciare di fronte a voi, come in un piccolo corteo. Non discutete con loro, non evitateli e non fateli andare via. E’ sufficiente che li guardiate marciare”.
In questa ricerca, coloro che applicavano tale tecnica mostravano un decremento del distress in contrasto con i soggetti ai quali veniva chiesto di sopprimere i pensieri disturbanti, per i quali invece si riscontrava un’intensificazione del disagio psicologico.
Auto-affermazione
Un’altra tecnica finalizzata alla gestione dei pensieri disturbanti è la cosiddetta “auto-affermazione”, ovvero un procedimento che promuove uno stato psicologico caratterizzato dall’espressione di valori e qualità personali. Il processo di auto-affermazione comporta il vedere se stessi come individui “adeguati, competenti, coerenti, buoni, stabili, capaci di fare delle scelte e di conseguire importanti risultati”. Sostanzialmente si invita a descrivere se stessi in termini positivi e, da alcuni studi sperimentali, è emerso che si tratta di un metodo indiretto verosimilmente valido per contrastare la ruminazione ed il rimuginio.
Scrittura ed apertura
Scrivere ed aprirsi alla narrazione dei propri pensieri ed emozioni ha spesso un impatto benefico sul piano psicologico. Diverse ricerche hanno documentato la riduzione del distress, un miglioramento della salute fisica e la diminuzione di pensieri indesiderati quando ci si dedica alla scrittura dei propri vissuti interiori.
Tuttavia, va precisato che l’efficacia di questa tecnica non va ricercata nel semplice effetto catartico dello scrivere a ruota libera, ma nello stile e nella struttura espressiva. In altri termine, secondo alcuni studiosi dell’argomento, è importante considerare il contenuto, la modalità e il destinatario delle proprie narrazioni. Inoltre, la narrazione dei propri pensieri avrebbe un esito positivo se consente, a chi scrive, di organizzare i pensieri all’interno di una storia ordinata e coerente, ricca di significato e che funga da processo di esposizione ed abituazione a pensieri ed emozioni indesiderate che si cerca di sopprimere e scacciare.
Esaminando alcune ricerche, sono queste le condizioni in cui la scrittura e la narrazione consentono una buona gestione della propria attività mentale, mentre sarebbe un’arma a doppio taglio lo scrivere senza criterio, senza struttura ed in modo ossessivo, pena l’incremento del rimuginio. Scrivere, dunque, può andar bene ma che lo si faccia costruendo un copione organizzato, coerente e comprensibile.
Meditazione
Diverse pratiche meditative, prese in prestito dalla tradizione buddista, sono efficaci nel gestire pensieri ed immagini intrusive.
Tra di esse vi è la Mindfulness, definita come “una modalità dell’ essere, non orientata a scopi, il cui focus è il permettere al presente di essere com’è e di permettere a noi di essere, semplicemente, in questo presente” (Teasdale); o anche come “consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi dell’esperienza momento per momento con intenzione, nel presente e in modo non giudicante (Jon Kabat-Zinn).
Diversi studi hanno dimostrato come certe tecniche meditative sono capaci di ridurre significativamente il distress psico-fisico soprattutto nell’ambito del disturbo depressivo e dei disturbi di ansia.
L’autore di questa rassegna sottolinea che le tecniche e le pratiche descritte vanno da quelle più testate e consolidate ad altre ancora in via sperimentale, per cui sono da considerare possibili modalità adottabili per intervenire su pensieri intrusivi ed indesiderati e NON soluzioni certe o vere e proprie raccomandazioni.
Un dato sicuro è, tuttavia, che esse risultano più efficaci della mera soppressione del pensiero e che non presentano particolari effetti collaterali.
Dott. Spinelli
Riferimenti:
– Wegner D.M. (2011). Setting free the bears: escape from thought suppression.American Psychologist, 66, 671-80.
– Teasdale J.D., Segal Z. & Williams J.M.G. (1995). How does cognitive therapy prevent depressive relapse and why should attentional control (mindfulness) training help? Behaviour Research and Therapy, 33, 25–39.
– Wegner D.M., Schneider D.J., Carter S. & White L. (1987). Paradoxical effects of thought suppression. Journal of Personality and Social Psychology, 53, 5–13.