Il disturbo ossessivo-compulsivo “complicato”: analisi dei fattori aggravanti ed indicazioni terapeutiche
15 Settembre 2018
Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è una psicopatologia potenzialmente disabilitante che colpisce sia bambini che adulti.
L’esistenza di numerosi approcci terapeutici quali la psicoterapia cognitivo-comportamentale con esposizione e prevenzione della risposta (ERP), la farmacoterapia e procedure pioneristiche come la stimolazione cerebrale profonda fanno sì che il DOC non sia più considerato una condizione non trattabile.
Più dell’80% dei pazienti che partecipano completamente ad un trattamento riscontra una significativa riduzione dei sintomi, con conseguenti miglioramenti nella qualità della vita.
Inoltre, la probabilità di ricadere nella sintomatologia dopo una psicoterapia comportamentale, basata sull’esposizione con prevenzione della risposta (ERP), è molto bassa.
Tuttavia, anche con questi molteplici trattamenti disponibili, il clinico può incontrare difficoltà nell’aiutare i pazienti a superare il disturbo.
Ad esempio, molti individui manifestano paura nell’assunzione dei farmaci ed esitano a rispettare la posologia prescritta. Alcuni pazienti, invece, non rispondono all’ERP, mentre altri ancora si rifiutano di partecipare o interrompono il trattamento prematuramente.
A questo si aggiungono dei fattori più specifici che complicano il trattamento dei pazienti con DOC, la presenza di:
- pensieri suicidari;
- compulsioni associate ad autolesionismo;
- ideazione sopravvalutata (in altri termini una scarsa consapevolezza);
- bassa motivazione.
Vediamoli uno per volta.
Ideazioni suicidarie
Molte persone con DOC lottano con pensieri di suicidio, alimentati da sentimenti di vergogna, disperazione ed impotenza.
Uno studio longitudinale di 6 anni che ha coinvolto pazienti con DOC ha evidenziato come che l’8% del campione esaminato riferiva ideazioni suicidarie, mentre il 5% ha proprio tentato il suicidio durante lo studio stesso.
Un’altra ricerca trasversale ha riportato un tasso di persistenza del 36% di pensieri suicidi con ben l’11% dei partecipanti che ha tentato il suicidio.
L’ideazione suicidaria può essere ego-sintonica, ovvero coerente con i sentimenti e i desideri dei pazienti, mentre in altri pazienti può essere ego-distonica, ovvero incompatibile con i bisogni personali, per cui i pensieri suicidi sono vissuti come fastidiosi, disturbanti e da allontanare; inoltre essi vengono percepiti come intrusioni indesiderate e terrificanti.
I pazienti con ideazioni suicidarie ego-distoniche sono generalmente difficili da trattare. Si presentano in studio con la forte preoccupazione di poter compiere un gesto estremo che non vorrebbero, chiedono rassicurazioni sul fatto di non essere in pericolo e supplicano di poter liberarsi da questi pensieri.
E’ molto importante che il terapeuta sia in grado di valutare attentamente la presenza di pensieri suicidari e se essi siano ego-sintonici o ego-distonici perché da questo deriva il tipo di intervento che si attuerà con il paziente e la corretta gestione dello stato di crisi. Infatti, se un paziente giunge con ideazioni suicidarie ego-distoniche, ma esse non vengono identificate come tali, si possono proporre farmacoterapie di emergenza per il rischio suicidio oppure consigliare un ricovero in ospedale per la “pericolosità” della situazione.
Fare questo, però, rafforza nel paziente la convinzione che avere questi pensieri sia di per sé molto pericoloso; inoltre, un approccio simile spingerebbe il paziente ad attribuire più veridicità e credibilità al pensiero suicidario in quanto tale (“se mi consigli un farmaco per prevenire il suicidio, se mi consigli di ricoverarmi, allora è vero che posso farlo!”). Per cui è fondamentale identificare la natura dei pensieri suicidari, in altre parole capire se essi siano davvero un rischio per l’incolumità della persona o se siano, invece, altri pensieri di carattere ossessivo.
Un primo passo quando ci sono persone con ideazioni suicidarie ego-distoniche è quello di indagare nella loro storia la presenza di comportamenti autolesionistici, condotte o fantasie di suicidio e ancora la presenza attuale di un episodio depressivo maggiore. Se questi elementi non ci sono allora, piuttosto che pensare alla prevenzione del suicidio o all’ospedalizzazione, sarebbe meglio trattare la problematica con una più semplice psico-educazione sulle ossessioni ed avviare una procedura di esposizione con prevenzione della risposta sulla specifica “ossessione suicidio”.
Compulsioni autolesive
Di solito una compulsione è fastidiosa e può impegnare anche una buona parte della giornata. Oltre ad inficiare la qualità di vita per il tempo che toglie ad altre attività personali, una compulsione diventa problematica se arriva a produrre veri e propri danni alla persona, come dimostrato nei seguenti casi.
Esempio 1
Il signor P., un uomo di 30 anni, si presenta con diagnosi di disturbo bipolare e DOC. Lamenta pensieri intrusivi sulle tragedie che possono colpire i suoi figli. Per cercare di neutralizzare questi pensieri, colpisce se stesso, riducendo in questa maniera il proprio stato di angoscia. Nella maggior parte dei casi considera sufficiente schiaffeggiarsi in modo leggero ma, alcune volte, si domanda se basti questo comportamento e se sia necessario agire più duramente.
Esempio 2
La sig.ra G., una donna di 35 anni con DOC, trascorre diverse ore al giorno a lavarsi le mani con agenti detergenti per evitare di contrarre e diffondere malattie sessualmente trasmissibili. Nei momenti di paura intensa, usa sostanze chimiche altamente irritanti pur di alleviare la stato di ansia.
Compulsioni così dannose condizionano il trattamento terapeutico.
Prima di tutto lo psicoterapeuta deve determinare il rischio di danno a cui sono esposti i pazienti quando attuano le compulsioni. Se esse sono pericolose, il clinico valuterà se sia il caso di seguire il paziente in studio o se sia necessario un intervento residenziale intensivo per ridurre il rischio di danno.
Solo se le compulsioni non espongono il paziente ad un pericolo imminente, si potrà intervenire con l’esposizione graduale con prevenzione della risposta (ERP), in quanto questa procedura richiede del tempo affinchè il paziente possa abituarsi a stimoli pian piano sempre più ansiogeni.
Ideazione sopravvalutata e bassa motivazione
Nel trattamento del DOC, due importanti fattori ostacolanti per il successo terapeutico sono l’ideazione sopravvalutata e la scarsa motivazione del paziente.
Gli individui con un’ideazione sopravvalutata considerano le loro preoccupazioni e le loro compulsioni come risposte razionali e logiche per scongiurare il pericolo percepito.
Si tratta di persone che hanno una scarsa consapevolezza, o scarso insight, per cui credono di avere buoni motivi per ritenere “vere” le proprie preoccupazioni ossessive e assolutamente necessari e giusti i rituali compulsivi grazie ai quali non si verificheranno gli scenari disastrosi. Raramente cercano da soli un aiuto e arrivano dal terapeuta su insistenza di familiari preoccupati.
In questi casi, può essere utile lasciare materiale informativo e psico-educazionale ai parenti del paziente, con cui poter cercare di informarlo e responsabilizzarlo sulla natura e sul funzionamento del DOC.
Inoltre, è consigliabile far adottare ai familiari un approccio verso il paziente non impositivo, ma che oscilli tra il motivazionale (farlo ragionare sulle conseguenze della malattia su di sé e gli altri per spronarlo a cambiare), il supportivo (farlo sentire compreso e sostenuto nelle sue difficoltà senza aggredirlo) e il collaborativo (lavorare insieme a lui per cercare delle soluzioni condivise).
Per ultimo, ma non per importanza, bisogna istruire i membri della famiglia sul DOC per aiutarli a conoscere e stabilire quelli che saranno gli appropriati limiti comportamentali da fissare per il paziente.
I pazienti con bassa motivazione comprendono la natura insensata delle loro preoccupazioni, ma non riescono a mantenere lo sforzo necessario per superare la malattia.
Questi pazienti possono iniziare la terapia con alti livelli di motivazione e raggiungere notevoli traguardi, ma poi si arenano e si accontentano dei risultati raggiunti con il rischio di avere delle ricadute. Infatti può accadere che dopo l’inizio della terapia la sintomatologia migliori, i pazienti considerano più tollerabili le ossessioni e le compulsioni, perdono l’interesse verso il trattamento.
In questi casi, i pazienti devono essere informati sul rischio significativo che corrono: le osservazioni cliniche hanno dimostrato che quando una persona riduce l’impegno nell’eseguire il trattamento, in particolare smette di eseguire la procedura di esposizione con prevenzione della risposta (ERP), aumenta di molto la probabilità di recidiva con una quota di angoscia superiore a quella precedente.
Ogni volta che è presente una bassa motivazione, lo psicoterapeuta deve valutare anche l’eventuale presenza di disturbi dell’umore, del sonno o altre condizioni mediche che possono causare eccessivo affaticamento e bassa energia. Utile, in questi casi, è un approccio motivazionale e l’uso di strategie di accettazione per favorire una vita più gratificante.
Conclusioni
Il DOC è una condizione potenzialmente invalidante, ma è altamente trattabile con la farmacoterapia e la psicoterapia cognitivo-comportamentale, in particolare basata sull’esposizione con prevenzione della risposta (ERP).
Il terapeuta può dover affrontare diversi fattori che complicano la riuscita del trattamento.
I pensieri sul suicidio richiedono attenzione clinica e prontezza di intervento se è presente un obiettivo desiderio di morte, mentre se le ideazioni suicidarie sono ego-distoniche bisogna evitare un intervento allarmistico che rischia di ingigantire tali pensieri e, con essi, le preoccupazioni del paziente.
Alcune compulsioni possono portare ad autolesionismo, richiedendo un trattamento intensivo piuttosto che una terapia graduale.
Il clinico deve anche essere preparato a riconoscere i pazienti che considerano le loro ossessioni e compulsioni come troppo logiche e realistiche per favorire una migliore adesione al trattamento finalizzato ad abbandonarle.
Inoltre, fondamentale è lavorare sul livello di motivazione, per garantire un impegno che sia costante sino alla fine del trattamento ed evitare in tal modo le recidive.
Dott. Spinelli
Riferimenti:
– Torres AR, Ramos-Cerqueira AT, Ferrão YA, et al. (2011). Suicidality in obsessive-compulsive disorder: prevalence and relation to symptom dimensions and comorbid conditions. J Clin Psychiatry, 72(1):17–26.
– Foa EB (2010). Cognitive behavioral therapy of obsessive-compulsive disorder. Dialogues Clin Neurosci, 12(2):199–207.
– Kozak MJ, Foa EB (1994). Obsessions, overvalued ideas, and delusions in obsessive-compulsive disorder. Behav Res Ther, 32(3):343–353.