Trattamento della depressione: psicoterapia o psicofarmaci?

Trattamento della depressione: psicoterapia o psicofarmaci?

La depressione è uno dei disturbi psichiatrici più frequenti e disabilitanti.
Diversi studi hanno dimostrato che la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è efficace quanto i farmaci antidepressivi nel suo trattamento, ma rispetto a questi ultimi risulterebbe capace di ridurre più significativamente il rischio di ricadute.

Lo scopo di un trattamento con antidepressivi è generalmente quello di favorire un sollievo dai sintomi e raggiungere una condizione di remissione intesa come assenza di sintomi.
Tuttavia, anche quando è stato raggiunto questo stadio, permane un alto rischio di ricadute, ovvero di ricomparsa dei sintomi simili a quelli di un primo episodio depressivo. Per tale motivo, dopo aver ridotto i sintomi, il trattamento in genere continua a durare per almeno altri sei mesi.

Oltre all’intervento farmacologico, vi sono altri trattamenti efficaci nella cura della depressione i quali includono la già citata TCC, altre forme di psicoterapia, l’attivazione comportamentale, il neurofeedback sino ad arrivare, nei casi di depressione grave cronica non responsiva ad altri trattamenti, alla terapia elettroconvulsiva.

Il fatto che ci siano diverse modalità di intervento capaci di favorire una riduzione dei sintomi depressivi, ha condotto ad ipotizzare che i diversi trattamenti potrebbero coinvolgere meccanismi neurali comuni, così come le ricerche sui cambiamenti cerebrali con tecniche di neuroimaging stanno recentemente dimostrando.
Allo stesso tempo, la diversa efficacia nel prevenire le ricadute ha portato ad ipotizzare che vi siano aree cerebrali che, seppur comuni, vengano interessate con un differente grado di rilevanza durante un trattamento psicoterapeutico e farmacologico.

In tale ambito di interesse, sono soprattutto gli studi sulla TCC e sulla farmacologia ad essere quelli maggiormente condotti.
Dagli studi condotti con la tomografia ad emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI) risulta che nei pazienti depressi sono presenti alterazioni a carico di due aree cerebrali: l’amigdala e la corteccia prefrontale.

L’amigdala è una regione del sistema limbico molto importante nella processazione delle informazioni emozionali e responsabile delle reazioni emotive. Essa ha diverse proiezioni con regioni corticali e sottocorticali ed in particolare con l’ippocampo, deputato alla creazione ed al mantenimento delle associazioni emotive nella memoria. E’ proprio attraverso queste connessioni neurali che l’attività dell’amigdala può mantenere ripetute associazioni negative che, come è stato dimostrato nei depressi, sono correlate ad alterazioni sia di volume che di attività.

La corteccia prefrontale invece, parte anteriore del lobo frontale del cervello, è responsabile dell’effetto inibitorio sulle regioni limbiche tra le quali l’amigdala. Una maggiore reattività di quest’ultima sarebbe associata ad una riduzione della funzione di controllo dell’area prefrontale. In particolare, proprio nei pazienti depressi si riscontrano alterazioni dell’attività cerebrale a carico dell’area rostrale e cingolata del lobo prefrontale che hanno dirette connessioni con l’amigdala.

Si ritiene, dunque, che sono due i meccanismi responsabili del mantenimento dei sintomi depressivi: un aumento anomalo e sostenuto dell’attività dell’amigdala ed un decremento dell’attività inibitoria della corteccia prefrontale, non rilevabili in soggetti non depressi.

Come agiscono la psicoterapia e la farmacologia

come agiscono la psicoterapia e i farmaci sul cervello

La TCC e la farmacologia agiscono sul circuito prefrontale e sul sistema limbico.

La TCC, in particolare, ha lo scopo di rimodulare la reattività emotiva automatica aumentando il maggior controllo sulla processazione delle informazioni e promuovendo una funzione inibitoria delle risposte automatiche.
Infatti, le funzioni della corteccia prefrontale che sono compromesse nella depressione, quali la flessibilità attentiva, la regolazione delle risposte emotive, il reappraisal (modificare l’interpretazione che si dà ad uno stimolo emotivo con l’obiettivo di ridurre il potenziale effetto stressante) sono il focus della TCC. Questi processi cognitivi, quando non alterati, sono inoltre associati ad un decremento dell’attività dell’amigdala.
Le ricerche condotte con la fMRI hanno evidenziato tali osservazioni.

La terapia farmacologica, nello specifico con antidepressivi SSRI, agisce invece direttamente sulle regioni limbiche, piuttosto che sulle funzioni della corteccia prefrontale: l’aumento della serotonina negli spazi intersinaptici comporterebbe una minore reazione del sistema limbico di fronte a stimoli emozionali.

L’efficacia della psicoterapia nella prevenzione delle ricadute

efficacia psicoterapia della depressione

Il fatto che la TCC e la terapia farmacologica interverrebbero sulle medesime aree cerebrali (circuito prefrontale e sistema limbico), ma con una diversa selettività ha portato ad ipotizzare che le due modalità di intervento coinvolgano meccanismi psicologici differenti, probabilmente responsabili della prevenzione di ricadute depressive a lungo termine.

Da alcune ricerche condotte confrontando campioni di depressi sottoposti a TCC e terapia farmacologica è emerso che prevalentemente nei soggetti sottoposti a TCC si assiste ad un significativo cambiamento delle aspettative negative, ad una riduzione delle distorsioni cognitive a base depressogena e ad una trasformazione dei criteri di attribuzione causale relativi agli eventi di vita spiacevoli non riscontrabili nei pazienti trattati farmacologicamente.

Questi cambiamenti prettamente psicologici risultano essere associati ad una bassa percentuale di ricadute in episodi depressivi a distanza di tempo dalla fine del trattamento.

Gli studi effettuati con la fMRI e la PET spiegano inoltre, da un punto di vista biologico, come questi meccanismi siano associati ai cambiamenti determinati dalla TCC a carico delle aree prefrontali (resettando le capacità attentive ed inibitorie da esse regolate) ed ai cambiamenti promossi dalla terapia farmacologica a carico del sistema limbico (regolando ed inibendo direttamente la sua attivazione).

I risultati di tali ricerche, che richiedono tuttavia ulteriori dati che possano corroborarli, contribuiscono ad offrire importanti informazioni sullo sviluppo della depressione e sulle modalità di intervento più consone per ridurne i sintomi e prevenire il rischio di ricadute.
Suggeriscono, inoltre, che nei pazienti con un’iper-reattività del sistema limbico che però presentano un controllo regolatorio delle risposte emotive ridotto ma non particolarmente compromesso, l’intervento farmacologico sarebbe più indicato, mentre nei soggetti depressi che presentano importanti difficoltà nella regolazione delle emozioni associate ad un ridotto funzionamento prefrontale, la TCC apporterebbe maggiore benefici.

In conclusione, se da un lato la TCC e la terapia farmacologica risultano ugualmente efficaci nel trattamento dei sintomi depressivi, come dimostrato da diverse ricerche, dall’altro l’effetto benefico a lungo termine della TCC sarebbe imputabile ad un coinvolgimento e ad un cambiamento selettivo di aree cerebrali diverse da quelle interessate dalla farmacoterapia, in particolare delle aree cerebrali prefrontali che giocherebbero un ruolo fondamentale nella regolazione e nel mantenimento del buon umore.

Dott. Spinelli

Riferimenti:

– Bhar SS. et al. (2008). Sequence of improvement in depressive symptoms across cognitive therapy and pharmacotherapy. Journal of Affective Disorders, 110, 161–168.

– Seminowicz DA., Mayberg HS., McIntosh AR., Goldapple K., Kennedy S., Segal Z., Rafi-Tari S. (2004). Limbicfrontal circuitry in major depression: a path modeling metanalysis. Neuroimage, 22, 409–18.

– Siegle GJ., Steinhauer SR., Thase ME., Stenger VA., Carter CS. (2002). Can’t shake that feeling: fMRI assessment of sustained amygdala activity in response to emotional information in depressed individuals. Biol Psychiatry, 51, 693–707.

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