Superare la depressione con l’attivazione comportamentale
9 Gennaio 2019
Diverse ricerche suggeriscono che la componente comportamentale su cui si interviene nel trattamento della depressione, come l’attivazione comportamentale, sia un fattore sufficiente per alleviare i sintomi overt del disturbo (ovvero i comportamenti manifesti come ritiro sociale, evitamento, passività, inattività) ed utile allo stesso tempo per modificare le cognizioni disfunzionali e migliorare il funzionamento quotidiano.
Il principio di base su cui poggia l’attivazione comportamentale è quello secondo cui eventi di vita stressanti, come traumi specifici, lutti, predisposizioni biologiche alla depressione e difficoltà quotidiane portano gli individui a sperimentare bassi livelli di rinforzi positivi durante la propria esistenza. In più, tali eventi e difficoltà innescano spesso comportamenti di ritiro sociale e di evitamento che, se a breve termine garantiscono un sollievo dalle fonti di stress, a lungo termine aumentano la probabilità di ricevere rinforzi negativi, riducendo invece l’opportunità di avere esperienze positivamente rinforzate.
Questo comporterebbe l’aumento ed il mantenimento dei sintomi depressivi. In tal senso, l’attivazione comportamentale, mediante l’identificazione e lo svolgimento programmato di attività costruite in relazione ai comportamenti maladattivi, agisce sull’inerzia, sulla passività e sulle condotte di evitamento.
Con l’attivazione comportamentale aumenta l’esposizione alle conseguenze positive del comportamento, aumenta la ricorrenza degli stessi comportamenti positivi e si riducono i comportamenti depressivi.
Cambiare i pensieri negativi con il comportamento
Allo stesso tempo, però, l’attenzione non è posta soltanto sul comportamento manifesto, ma anche sugli atteggiamenti negativi e sulle idee pessimistiche che l’individuo ha di sé.
Mediante la modificazione del comportamento si auspica che le cognizioni stesse possano mutare in termini positivi, rompendo un importante circolo vizioso che si forma tra sintomi manifesti e schemi cognitivi, ovvero: riduzione delle attività e del repertorio comportamentale —> valutazione di sé come persona incapace —> demotivazione e scoraggiamento —-> maggior riduzione del comportamento e passività —> schemi negativi di sé.
Tale circolo vizioso può favorire, a sua volta, un generico senso di faticabilità e deconcentrazione, un aumento dell’umore depresso e di insoddisfazione, riducendo l’autostima e condizionando ulteriormente il comportamento.
Secondo un approccio più cognitivista, la modificazione del comportamento non rimane un fine in sé stesso, ma un mezzo per il cambiamento cognitivo.
Spesso i pensieri e le emozioni negative cambiano successivamente ad esperienze positive e risulta difficile rimanere depressi se si è coinvolti regolarmente in attività che provocano gratificazione e senso di realizzazione. Tutto sta dunque nell’iniziare, seppur con un certo criterio e, in certi casi, una precisa programmazione.
1 – Identificare lo stato depressivo
Un primo passo da compiere se si vuole avviare un programma di attivazione comportamentale è l’identificazione di uno stato depressivo.
La depressione è definita come un periodo di almeno 2 settimane in cui una persona sperimenta umore depresso, riduzione degli interessi e delle attività che un tempo risultavano piacevoli. Se per alcune persone lo stato depressivo è correlato ad eventi di vita stressanti (rottura di una storia, perdita del lavoro, ecc.), per altre i fattori causali non sono così chiari.
Lo sviluppo della depressione è determinata infatti da una diversità di fattori di natura ambientale, cognitiva, sociale e biologica, fattori che possono produrre e mantenere i sintomi depressivi sia insieme che indipendentemente. Sebbene molti uomini e molte donne durante la loro vita abbiano sperimentato dei sintomi depressivi, si può parlare propriamente di disturbo depressivo quando compromettono significativamente il funzionamento di ogni giorno (difficoltà nello svolgimento del lavoro, nell’interagire con le altre persone, trascuratezza nelle responsabilità familiari).
2 – Monitorare le attività settimanali
Per comprendere il grado di severità di depressione è importante, oltre all’assessment specialistico mediante questionari, il monitoraggio settimanale delle attività.
L’uso del diario settimanale serve per vari motivi: consente di avere una baseline per confrontare i progressi durante il trattamento; permette di avere una più chiara panoramica sul livello di attività (ad esempio può essere più alto rispetto a quello che si pensa, contrastando l’idea che “non si è in grado di fare niente”); aiuta a divenire consapevoli delle attività che forniscono anche un piccolo sollievo; stimola nuove idee su quali possano essere le attività da intraprendere.
Durante il monitoraggio delle attività è fondamentale tenere a mente che lo scopo principe di questo esercizio è quello di osservare e non di valutare la quantità e la qualità delle attività giornaliere.
Se l’atteggiamento è sin da subito giudicante, è molto probabile che il criticismo e gli schemi negativi tipici della depressione possano aumentare lo scoraggiamento ed il senso di incapacità. Il passo più importante è invece provare a realizzare il programma e successivamente valutare l’impatto che l’attivazione comportamentale ha sul proprio umore e sulle proprie cognizioni.
3 – Scegliere le attività
Una volta aver concluso il monitoraggio (che può richiedere anche una sola settimana), si passa ad identificare le potenziali attività da svolgere, chiedendosi quale cambiamento si desidera o cosa si vorrebbe nelle seguenti aree di vita: relazioni familiari, relazioni sociali, relazioni sentimentali, formazione, lavoro, benessere fisico, dimensione spirituale, attività ricreative ed hobby.
Se viene fissato un obiettivo a lungo termine, diventa necessario identificare i sotto-obiettivi a corto e medio termine: se l’obiettivo è finire l’università, esso implica altri steps quali acquistare i testi didattici, frequentare le lezioni, studiare per una quantità di ore alla settimana, sostenere gli esami.
E’ preferibile, dunque, graduare la programmazione delle attività per favorire un effettivo incremento comportamentale ed evitare di fissare standard troppo alti rispetto alla condizione di partenza. Ad esempio, se lo stato depressivo ha compromesso lo studio, riducendolo a 2 ore settimanali, è controproducente (e poco fattibile) fissare come attività “studiare 5 ore al giorno ad eccezione del sabato e della domenica”. Sarebbe, invece, più adeguato stabilire di passare dalle 2 ore settimanali a 4 ore, poi a 6 e così via.
E’ importante, inoltre, non fissare sin da subito attività difficili da svolgere o troppo ambiziose, il cui esito può essere incerto e richiedere molto tempo. E’ consigliabile partire da attività che già fanno parte o facevano parte delle routine settimanale, per poi ampliarle ed aprirsi a nuove eventuali esperienze. Se, infatti, sono state abbandonate o notevolmente ridotte le attività e gli interessi di un tempo, è ancor più difficile trovare la motivazione ad affacciarsi a stimoli del tutto nuovi e/o impegnativi.
Un altro aspetto da non trascurare è la selezione di attività che siano misurabili ed osservabili, che non siano vaghe ed aleatorie. Non si può pensare di inserire tra le attività “l’essere più felice” o “divertirsi di più” senza avere ben in mente la forma concreta e descrittiva dell’esperienza in base alla quale valutare il grado di felicità. Sarebbe, allora, più appropriato stabilire di “uscire con i compagni due volte a settimana” o “frequentare il corso di ballo una volta a settimana”.
Una volta che il programma di attivazione è stato avviato, si può successivamente aggiungere il grado di piacere correlato alle attività svolte. Questo consente di scoprire che si è “ancora in grado” di ottenere gratificazioni, che la soddisfazione può essere sperimentata a più livelli (contrastando il pensiero del “tutto o niente”) e che si possono sostituire quelle attività che non sono obiettivamente più fonte di piacere.
Conclusioni
L’attivazione comportamentale si prefigura come un’utile tecnica, capace di migliorare il livello di funzionamento, di contrastare la ruminazione e di rimettere in discussione le concezioni negative che la persona depressa ha di se stessa, promuovendo una motivazione più spontanea e un miglioramento dell’umore.
Non necessariamente al cambiamento comportamentale segue un cambiamento cognitivo; le cognizioni negative possono persistere nonostante una arricchimento del comportamento.
Coerentemente a questo, l’attivazione comportamentale, oltre ad aumentare la probabilità di incorrere in esperienze positivamente rinforzanti, rappresenta comunque una valida occasione mediante la quale l’individuo può confutare empiricamente le proprie idee di inadeguatezza e di incapacità e ripartire con maggiore fiducia verso se stesso ed il mondo che lo circonda.
Dott. Spinelli
Riferimenti:
– Martell CR. (2003). Behavioral activation therapy for depression. In O’Donohue W., Fisher J., Hayes S. (Eds.) Cognitive Behavior Therapy: Applying Empirically Supported Techniques (pp. 28-32). New York: John Wiley & Sons.
– Jacobson NS., Dobson KS., Truax PA., Addis ME. (1996). A component analysis of cognitive-behavioral treatment for depression. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 64, 295-304.
– Beck AT., Rush AJ., Shaw BF., Emery G. (1979). Cognitive therapy for depression. New York: Guilford.