Dall’impotenza appresa alla depressione: il ruolo del pessimismo

Dall’impotenza appresa alla depressione: il ruolo del pessimismo

L’impotenza appresa è una condizione psicologica caratterizzata dall’aspettativa della fallacia delle proprie azioni, ovvero dall’idea che le proprie azioni non servono e non hanno alcun effetto sugli eventi, non consentono di controllare o modificare una data situazione.

L’apprendimento dell’impotenza, inoltre, si verifica mediante l’esperienza diretta, concreta e (generalmente) ripetuta della futilità del proprio comportamento, ovvero dell’inutilità delle proprie risposte durante il tentativo di gestione di una situazione.

L’intuizione del fenomeno dell’impotenza appresa 

Esperimento Martin SeligmanQuesto fenomeno fu intuito casualmente da Martin Seligman, considerato il fondatore della Psicologia Positiva, durante un esperimento condotto da Richard Solomon sul condizionamento alla paura.

L’esperimento prevedeva che dei cani fossero sottoposti a due stimolazioni, suoni ad alta intensità e brevi scosse elettriche, somministrate in coppia: prima il suono e poi la scossa. L’idea di base era quella di creare un’associazione tra suono e scossa in modo tale da indurre i cani a reagire al suono come alla scossa, ovvero con paura. Nella parte successiva dell’esperimento i cani vennero condotti in un box a comparti divisi da una piccola barriera.

I cani furono sottoposti a scosse elettriche affinché imparassero a saltare la barriera per giungere dall’altra parte del box dove non avrebbero ricevuto alcuna scossa. Successivamente i ricercatori avrebbero verificato se i cani superavano la barriera anche dopo aver ascoltato il semplice suono, essendo stati precedentemente condizionati a reagire con paura al suono stesso.

Ma si verificò un esito inaspettato: quest’ultima parte dell’esperimento (testare i cani solo con i suoni) non fu eseguibile perché i cani posti nella prima parte del box, dove ricevevano le scosse, non provarono nemmeno a fuggire saltando la barriera, ma rimasero sdraiati a mugolare. Secondo Seligman, durante la prima parte dell’esperimento, ovvero durante il condizionamento pavloviano che doveva solo far associare suono e scossa, i cani avevano appreso che qualunque cosa facessero, come fuggire, saltare o abbaiare, non servisse a nulla e non aveva effetto sulle scosse.

Fu questa esperienza di laboratorio che portò Seligman a voler esaminare scientificamente se e come l’impotenza potesse essere appresa, decidendo di condurre degli esperimenti mirati sugli animali per poi costruire un modello applicabile anche all’essere umano.

L’esperimento dell’impotenza appresa sugli animali e la sua scoperta

Nel gennaio del 1965 egli mise a punto un esperimento mirato a questo scopo.

L’esperimento era detto “triadico” in quanto coinvolgeva tre animali contemporaneamente*.

Il primo cane era sottoposto a scosse elettriche, ma poteva interromperle premendo un pannello con il naso; il secondo riceveva delle scosse simultanee al primo con la differenza che nessun comportamento avrebbe avuto l’utilità di interromperle; il terzo invece non era sottoposto ad alcuna scossa. Nella seconda parte dell’esperimento, i cani furono condotti nel box a due comparti dove, per sfuggire alle scosse, sarebbe bastato saltare una bassa barriera.

Ciò che accadde fu che il primo cane, che aveva appreso a controllare le scosse, imparò velocemente a saltare la barriera per giungere nel lato in cui non le avrebbe più ricevute; il terzo cane, che non aveva ricevuto alcuna scossa, si spostò ugualmente; il secondo, invece, a cui erano state precedentemente somministrate delle scosse inevitabili, nonostante potesse vedere la barriera, non fece nessun tentativo per saltare nella parte senza scosse. L’esperimento fu ripetuto con un numero maggiore di animali dando gli stessi risultati.

Seligman e collaboratori giunsero alla conclusione che gli animali erano in grado di apprendere la fallacia delle proprie azioni e che, in tali condizioni, si aspettavano che il loro comportamento non sarebbe stato utile nel futuro diventando, pertanto, passivi.

Lo studio dell’impotenza appresa sugli esseri umani

Sulla base di queste eccitanti conclusioni i ricercatori decisero di studiare il fenomeno anche sugli esseri umani.

Sarebbe stato, infatti, rivoluzionario in ambito scientifico ed estremamente utile in campo clinico, comprendere la genesi dell’impotenza e soprattutto una sua possibile cura e prevenzione.

In uno degli esperimenti, furono coinvolti tre gruppi di persone condotte in una stanza di laboratorio. Il primo gruppo era sottoposto ad un forte rumore che poteva essere interrotto trovando la giusta combinazione di bottoni; un secondo gruppo che, sottoposto al rumore, non poteva farlo cessare con nessuna combinazione; un terzo gruppo che non era sottoposto ad alcun rumore.

Nella seconda parte dell’esperimento, i tre gruppi furono portati in un box a due comparti dove se veniva appoggiata la mano da un parte si attivava un rumore fastidioso, spostandola nell’altra il rumore cessava.

I ricercatori osservarono come il primo ed il terzo gruppo di persone appresero facilmente che bastava spostare la mano nell’altro comparto per far cessare il rumore; il secondo invece (quello precedentemente esposto ad un rumore inevitabile) rimase immobile e non provò nemmeno a spostare la mano, dimostrando di aver appreso ad essere impotenti al rumore.

Questi risultati furono entusiasmanti per i ricercatori in quanto se l’impotenza poteva essere appresa di fronte a stimoli irrisori (come un rumore), era ancor più comprensibile che gli esseri umani divenissero impotenti dinanzi ad esperienze di vita più drammatiche. Allo stesso tempo supposero che così come l’impotenza può essere appresa, essa può essere “curata”, facendo apprendere nuovamente l’utilità delle proprie azioni (l’atteggiamento infatti dei cani e dei soggetti umani divenuti passivi durante gli esperimenti cambiava in atteggiamento risolutivo nel momento in cui veniva loro fatta sperimentare la possibilità di controllare nuovamente la situazione).

Il passaggio dall’impotenza appresa alla depressione: lo stile esplicativo pessimistico

Dall'impotenza alla depressione

Seligman ipotizzò, inoltre, che l’impotenza appresa rappresentava il punto di partenza per lo sviluppo di una depressione.

Infatti, esaminando successivamente gli animali e gli esseri umani che avevano partecipato agli esperimenti sull’impotenza appresa, tutti coloro che non potevano controllare con le loro azioni la situazione stressante mostravano diversi sintomi corrispondenti ai criteri per la diagnosi di depressione: umore negativo, perdita di interessi e di appetito, insonnia, perdita di energia e di concentrazione, percezione della futilità ed inutilità delle proprie azioni.

Tuttavia riteneva che l’impotenza appresa di per sé non era sufficiente.

Se la depressione poteva essere determinata dalla credenza nella futilità delle proprie azioni (a cui si associano tutti gli altri sintomi sopradescritti), ovvero se la depressione era dovuta ad uno stato psicologico di impotenza, non tutti coloro che sperimentavano una condizione di impotenza diventavano depressi; avrebbero potuto demoralizzarsi temporaneamente, ma non cadevano in depressione.

Secondo Seligman, quello che conduceva molto probabilmente da un’esperienza di impotenza appresa ad una vera e propria depressione, era lo stile esplicativo pessimistico.

Gli ulteriori studi condotti sugli stili cognitivi di spiegazione causale degli eventi (gli stili esplicativi per l’appunto) gli permisero di dimostrare questa sua teoria. Lo stile esplicativo consiste nella modalità abituale con cui una persona spiega gli eventi o in altre termini le parole ed i significati che tipicamente vengono formulati di fronte ad un successo o ad un fallimento.

Nello specifico uno stile esplicativo pessimistico è caratterizzato dalla tendenza ad attribuire agli eventi negativi delle spiegazioni causali di tipo:

permanente: si crede che gli eventi negativi dureranno per sempre nella propria vita (“sarà sempre così”; “non capisci mai niente!”; “è sempre cattivo con me”). La permanenza riguarda la dimensione temporale della causalità;

pervasivo: si crede che un evento negativo coinvolge tutta la propria esistenza ed è universale (“la mia vita non va bene”; “ non piaccio a nessuno”; “il mondo è sbagliato”). La pervasività è relativa alla dimensione spaziale;

personale: si crede che la causa di un evento negativo sia la propria (“è perché sono incapace”; “sono io a non essere piacevole”; “è colpa mia!”). La personalizzazione implica una causalità interna delle esperienze spiacevoli e riduce l’autostima.

Dalle ricerche condotte su gruppi di soggetti umani è emerso che chi ha uno stile esplicativo opposto, ovvero ottimistico, tende ad utilizzare uno stile attribuzionale diverso: spiega gli eventi negativi trovando cause temporanee e non permanenti (“è un giorno sfortunato”), specifiche e non pervasive (“con quella ragazza non mi è andata bene), personalizza di meno (“il professore era nervoso”); viceversa gli eventi positivi tendono ad essere spiegati in modo permanente, pervasivo e personalizzante (sintetizzando l’ottimista si dice: “sono sempre in gamba!”; “sono abile”).

Secondo Seligman ed i sostenitori della Psicologia positiva, i dati raccolti negli anni sull’impotenza appresa e sugli stili esplicativi non devono tuttavia portare ad uno scoraggiamento generale facendo concludere che, per chi presenta una visione negativa delle cose, non ci sia più nulla da fare se non cadere e ricadere frequentemente in depressione o che soltanto gli ottimisti siano quelli più protetti dalle virate depressive.

Le ricerche condotte e l’esperienza clinica maturata non solo sulla genesi del pessimismo, ma sugli stili cognitivi che caratterizzano gli ottimisti, hanno infatti ampiamente dimostrato che è possibile contrastare la depressione e che è praticamente possibile rendere un’esperienza di impotenza un vissuto temporaneo, proprio modificando il proprio esplicativo.

In questo senso, la terapia cognitiva rappresenta oggi un metodo terapeutico validato empiricamente, capace di trasformare lo stile esplicativo sulle cause degli eventi ed in grado di prevenire le ricadute fornendo gli strumenti adatti per riprendersi dalle sconfitte.

Passare dal pessimismo all’ottimismo non significa semplicemente pensare positivo, o dirsi forzatamente frasi positive, o ancora fingere che non vi siano problemi e che tutto vada bene, ma saper dare il giusto peso agli eventi della vita ed alle responsabilità personali ed esterne, conservando, nonostante tutto, la consapevolezza che si ha sempre la capacità di far fronte ad una situazione.

Come asserisce lo stesso Seligman:

“L’ottimismo è speranza. Non è assenza di sofferenza. Non è essere sempre felici e soddisfatti. È la convinzione che sebbene si possa sbagliare o si possa avere un’esperienza dolorosa, si può agire per cambiare le cose.”

*Gli animali furono sottoposti a condizioni sperimentali non significativamente lesive per la loro salute; non dolorose, ma fastidiose, paragonabili alle rapide e lievi scosse che si possono avvertire al tocco della portiera di una macchina. Inoltre, tutti gli animali non furono lasciati in uno stato di impotenza, ma ricondizionati ad un comportamento attivo, apprendendo nuovamente l’efficacia del loro azioni.

Dott. Spinelli

Riferimenti:

– Seligman M. (2013). Imparare l’ottimismo. Come cambiare la vita cambiando il pensiero. Giunti Editore.

– Seligman M. (2012). Fai fiorire la tua vita. Una nuova, rivoluzionaria visione della felicità e del benessere. Anteprima Edizioni.

– Seligman M. (2010). La costruzione della felicità. Sperling & Kupfer.

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