La paura di essere felici: descrizione, sintomi, trattamento della cherofobia

La paura di essere felici: descrizione, sintomi, trattamento della cherofobia

Nella nostra società l’infelicità viene spesso vista come una condizione da prevenire, evitare o persino da eliminare.

Di contro, la felicità è considerata l’obiettivo da conseguire per dimostrare a se stessi di condurre una vita di successo. Infatti, nella cultura occidentale la maggior parte delle persone mette al primo posto l’essere felice e fa di tutto per raggiungere questa condizione: avere un buon posto di lavoro, trovare un partner, comprarsi una casa, costruirsi una famiglia, acquistare cose, cercare divertimenti e così via.
Azioni molto spesso svolte come mezzi per raggiungere la felicità e non perché intrinsecamente importanti.
Anche nell’ambito della salute e della promozione del benessere, esiste un’intera industria che promette il segreto della felicità mediante libri, corsi e consigli pagati pure a caro prezzo.

D’altro canto, studi recenti rivelano che per alcune persone il sentirsi felici è proprio ciò che li spaventa.
Si sta parlando della cherofobia, termine tecnico per indicare l’avversione alla felicità o, in altri termini, la paura della gioia. Essa non va confusa ingenuamente con l’essere depressi o qualsiasi altro stato mentale caratterizzato da una mancanza di felicità. La cherofobia, infatti, fa riferimento ad un’attiva evasione dalla felicità.

Condizione patologica o diversa visione della vita?

A questa domanda bisogna rispondere con cautela.
Da una parte si rischia di patologizzare una condizione innocua e non disturbante per l’individuo, dall’altra di trascurare un profilo emotivo-comportamentale che può minare il benessere soggettivo o esacerbare una psicopatologia già in essere.

Il problema culturale

Felicità e differenze culturali

Una ricerca condotta tra ben 14 culture, pubblicata sul Journal of Happiness Studies, ha messo in evidenza come ci sono notevoli differenze su come le diverse culture concepiscono la felicità.

Ad esempio, coloro che provengono da culture dell’Asia orientale tendono ad essere preoccupati degli effetti delle proprie espressioni di felicità su chi li circonda. In altre parole, l’esprimere gioia e allegria per il raggiungimento di un risultato può far soffrire coloro che non sono riusciti a raggiungere le stesse mete.
Per alcuni popoli dell’est, invece, la felicità sarebbe un’emozione superficiale che rovina la reputazione e la serietà di una persona. In altre culture, la felicità semplicemente non è considerata un valore supremo, o ancora, in certe società la felicità è mal vista perché “forze divine” potrebbero risentire della gioia provata dagli uomini, punendoli se esagerano con le loro manifestazioni di appagamento.

Stando a questo importante studio, la cherofobia non rappresenterebbe un problema clinico in quanto rispecchia solo un diverso modo, prettamente culturale, di rapportarsi con la felicità.

Le differenze culturali tra società occidentali e società orientali sono ormai piuttosto note e, per quanto la globalizzazione abbia avvicinato e mescolato i molteplici modelli culturali, permangono delle generali peculiarità: se da un parte, in occidente si tende a massimizzare la felicità ed il successo personale, dall’altra tra numerose culture orientali l’armonia e la rettitudine non combaciano con la ricerca della felicità ed il raggiungimento di successi individualistici.

Il problema clinico

paura di essere felici e disagio psicologico

 

Tralasciando fattori di natura transculturale, quando l’avversione alla felicità arriva a condizionare negativamente la propria qualità di vita, ostacolando la sfera sociale, familiare, sentimentale o lavorativa, essa diventa una condizione dai tratti più patologici.

La stessa etimologia rimanda ad uno stato problematico.
Il termine deriva dalla parola greca “chero”, che significa “rallegrarsi” e dal greco “phóbos”, che significa paura. Per cui, quando una persona sperimenta cherofobia, prova la paura di essere felice e di partecipare ad attività che produrrebbero gioia.

Si tratta di una condizione ancora poco studiata e poco definita.
Attualmente il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) non elenca la cherofobia come un disturbo.
Ma vi sono alcuni clinici che classificano la cherofobia come una forma di disturbo d’ansia.

In particolare l’ansia sarebbe legata alla partecipazione a contesti che favoriscono un senso di felicità. Questo evidenzia una caratteristica del cherofobico: egli non è triste, ma evita attività che potrebbero portare alla gioia.

Da un punto di vista sintomatologico, la cherofobia si esprime mediante manifestazioni emotive, comportamentali e cognitive:

  • ansia al pensiero di andare ad un evento sociale, come una festa, un concerto e situazioni simili
  • rifiuto di opportunità che favoriscono cambiamenti di vita positivi a causa del timore che possa accadere in seguito qualcosa di brutto
  • rifiuto di partecipare ad attività che producono divertimento

I pensieri che affollano la mente del cherofobico possono essere: 

“Mostrarsi felice fa male a se stessi, ad amici o familiari”;

“La felicità ti rende una persona cattiva o peggiore”;

“Cercare di essere felici è uno spreco di tempo e fatica”;

“Essere felici significherà che mi succederà qualcosa di brutto”;

Da cosa deriva la cherofobia?

Una delle possibili cause della cherofobia può essere riscontrata in un evento traumatico passato sia di tipo fisico che emotivo.
Aver vissuto un’esperienza particolarmente dolorosa potrebbe generare la convinzione che un’imprevisto negativo sia sempre dietro l’angolo e pronto a verificarsi, per cui la felicità sarebbe seguita certamente da qualcosa di tragico, in grado di spezzare o interrompere una condizione di serenità. Questa interruzione viene vissuta come intollerabile e catastrofica al punto che sarebbe meglio non provare affatto momenti di felicità per non vivere la successiva dolorosa delusione.

Un’altra ipotesi causale pone l’attenzione su un tratto di personalità, il perfezionismo.
Il perfezionista è preoccupato dal raggiungere standard prestazionali molto alti, il che determina un comportamento orientato ad una continua produttività, al duro e costante impegno, ad un monitoraggio minuzioso di ogni attività e comportamento per scongiurare il minimo errore.

Secondo la prospettiva del perfezionista non c’è tempo per essere felici, perché esserlo significa dedicarsi ad attività secondarie, superficiali ed inutili. I momenti di relax e di piacere rendono improduttivi, rischiano di far perdere il mantenimento di standard personali elevati.
Nel caso vi siano attività che sembrano distraenti, come un hobby, anch’esse vengono eseguite minuziosamente e come strumento per misurare il proprio valore e capacità, perdendo la loro funzione distensiva.

Infine, si ipotizza una correlazione con un altro tratto di personalità, l’introversione. La persona introversa tende ad essere socialmente chiusa, ad evitare situazioni affollate o gruppi troppo allargati perché vive questi contesti con disagio. In una personalità introversa la cherofobia può trovare terreno fertile per il suo sviluppo in quanto condivide con essa condotte di evitamento e di isolamento sociale.

Come intervenire?

Non essendo una patologia ancora ben definita e studiata, mancano trattamenti specifici e mirati per la cherofobia.
Tuttavia, i trattamenti suggeriti includono la terapia cognitivo comportamentale, strategie di rilassamento, pratiche di accettazione e consapevolezza, l’esposizione a eventi che provocano la felicità come mezzo per aiutare una persona a comprendere che la felicità non implica necessariamente conseguenze negative e, anche se passeggera, non per forza è seguita da esperienze catastrofiche.

E’ importante precisare che chi sperimenta cherofobia non ha per forza bisogno di cure. C’è chi infatti si sente semplicemente più tranquillo evitando la felicità.
Come detto precedentemente, la cherofobia diventa un problema, invece, se arriva ad interferire con la propria qualità di vita, condizionando pesantemente la sfera sociale, il lavoro e la realizzazione di sé. 

Dott. Spinelli

Riferimenti:

– M. Joshanloo, D. Weijers (2013). Aversion to Happiness Across Cultures: A Review of Where and Why People are Averse to Happiness. Journal of Happiness Studies,15, 717–73.